lunedì 27 luglio 2009

LA VERA STORIA DI MANUEL KANT - PRIMA PARTE

Non sono solito dissertare di filosofia per iscritto (sebbene oralmente io sia invece annoverato tra i migliori pronunciatori della parola “sehnsucht” di tutto il condominio), ma questa volta si tratta di un dovere morale, di una ricerca di giustizia storiografica e di una sana misura atta ad ottemperare alle storture di un oscurantismo storico-filosofico che non ha precedenti, se si esclude quello dell’ espunzione volontaria delle teorie sulla contenibilità dei presupposti dell’ essere all’ interno di un oritteropo gay e della loro convertibilità in oro sul mercato olandese, teoria di Blaise Pascal cancellata per sempre dall’ invidia di un allievo calvinista.
Vogliamo qui portare all’ attenzione del lettore una figura che, se la storia ha ritenuto minore, noi, qui e oggi, riportiamo sull’ altare della gloria del sapere: si tratta di Manuel Kant, recentemente riscoperto in un saggio biografico di Otto Neuve, “Dimostrabilità e indimostrabilità simultanea della cosa in sé appena ti viene in mente”, meglio noto nell’ ambiente accademico col sottotitolo “Mille autogiustificazioni per la grassa meretrice che ti dorme a fianco”.
Manuel Kant (1731 – 1806), nono e ultimo figlio dei coniugi Kant, fratello del più famoso e sicuramente più noioso Immanuel, nacque anch’ egli a Konigsberg, vero cognome di Woody Allen. E, non secondariamente, composta e timorata cittadina dell’ attuale Russia oggi sotto il nome di Kaliningrad.
Diversamente da suo fratello Immanuel, Manuel non aveva un cervello particolarmente brillante, né una spiccata attitudine al ragionamento, né una singolare predisposizione alle arti, né un’ abilità di concentrazione sufficiente ad evitargli un collasso nervoso ogni volta che doveva distinguere il sé stesso reale da un qualsiasi riflesso in una pozzanghera, o dallì eventuale papera ivi galleggiante. Né, per un misterioso transfert, riusciva ad allacciarsi correttamente le scarpe senza raccomandare prima l’ anima a dio, e talvolta neanche dopo. Meno metodico del fratello, Manuel da bambino era solito giocare a “schiccheriamoci” con i suoi genitali, balbettando una polka, ma fu presto confinato in riformatorio perché questa attività, in quell’ epoca puritana, non era ancora permessa, e soprattutto non lo era all’ interno di un ufficio postale.
Mentre Immanuel diventava edotto in Latino e Scienze, Manuel diventava edotto riguardo alla vita detentiva. I “nonni” del riformatorio lo avevano accolto con calore. Troppo, forse. Quando Manuel si fu ripreso dalle ustioni, venne rilasciato per un vizio di forma. Il teologo fiammingo Theodosius Von Mastektominzer, nel suo citatissimo “Della gloria di dio e del mio settimo terno sulla ruota di Bari” sospettò che il “vizio di forma” consistesse in un accorato appello della madre che sovente pregava il direttore del riformatorio di rilasciarlo. In effetti, pare che la donna pregasse il direttore tre volte a settimana all' interno suo ufficio, insolitamente chiuso a chiave ed oscurato all’ esterno da tendine nere di percalle. Altri ritengono che il vizio di forma fosse consustanziale al fatto che Manuel Kant era un querulo trapezio (le pene per i trapezi, in quel di kaliningrad, erano state tutte amnistiate perché la parola “trapezio”, nel dialetto locale, significava anche “Cesare Previti”).
Manuel, nell’ entusiasmo per l’ insperato rilascio, si recò dal fratello per proporgli un’ idea che Wolfgang Judenfeuer, nel suo saggio “Retaggio e formazione di un allevamento di pagliacci”, non esita a definire, con una locuzione probabilmente un po’ affrettata, “una sesquipedale stronzata”. L’ idea consisteva nel formare un duo musicale di salsa e merengue. Grazie agli archivi della Fondazione Manuel Kant, alacremente custoditi in una vecchia scatola di wafer alla nocciola ritrovata a fianco di un camino, abbiamo potuto provvedere ad una ricostruzione abbastanza fedele dell’ episodio.

Manuel Kant irrompe nello studiolo dove suo fratello Immanuel sta studiando una polizza assira:

-Imma! Imma! Ho avuto una grande idea.

-Lasciala vagare silente e superflua nell’ aria rarefatta di questa stanza e vattene. Ho da fare. E non chiamarmi Imma. Non sono una balia tettona. Magari lo fossi. Poter disporre a mio piacere di molteplici coppie di seni roboanti. E adesso fuori.


-Dobbiamo assolutamente mettere su un duo musicale di salsa e merengue.


-(--- )


-Ho già il nome. Reggiti forte.


-Un attimo. Lasciami inghiottire questo sasso d’ oppio. Ecco. Vai, procedi. E poi vattene.


-Immanuèl y Manuèl!


-


-Carramba!


-


-Non è geniale? Eh? Andremo in tour. Italia! Francia! Marocco! Albania! Zambia! Swahili! Serengheti! Zebra!


-Posa il National Geographic e ascoltami. Ora tu vai da papà, gli dici che ti sei invaghito del demonio, tiri fuori il tuo membro, glielo batti sul polso, infili il tuo dito medio nel tuo ano, glielo spingi sulle labbra e poi defechi sulla sua preziosa pipa d’ ebano. Poi torni qui e mettiamo insieme il progetto.


-Grazie fratello, ti adoro! Vado e torno.


-Ti aspetto.


Quando Manuel, un anno dopo, fu di nuovo in grado di camminare, anche se non più di quindici passettini al metro, gli parve evidente che la sua famiglia non lo avrebbe mai capito fino in fondo. In particolare, il sospetto gli venne quando il padre gli disse “Figlio mio, io ti voglio –per così dire- bene, ma è opportuno che tu sappia che non sei che un ridicolo, futile e grottesco futuro fertilizzante per campi di ortiche”. Manuel cercò conforto nella madre. Questa gli sorrise benevola, dopodiché lo colpì sulle reni con una testa di alce per cinque settimane. Un po’ incerto sulle implicazioni dei suoi rapporti familiari, Manuel si recò da un uomo di chiesa, il reverendo Tarcisius Glossolalovic, un ex imprenditore caduto in disgrazia per un banale disguido relativo a una partita difettosa di scimmie da riporto. Alle osservazioni che Manuel gli proponeva, il reverendo era solito rispondere appoggiandogli fraternamente una mano sulla spalla, e meno fraternamente i testicoli sulla coscia. Manuel ne concluse che doveva trovarsi un’ occupazione.
Si dette così alle traduzioni dal tedesco al tedesco, ma il lavoro scarseggiava, anche perché le sue traduzioni risultavano spesso, rispetto agli originali, scritte in una specie di ingarbugliata commistione di yiddish e di un volgarotto gergo da becchino danese alcolizzato. Fu quindi costretto ad accettare un impiego come sedia nella bottega del barbiere Johann Mutterficker, un gran bravo barbiere su cui però pesava l’ ingombrante tara di essere stato fino all’ età di 24 anni un quadrupede.
Afflitto dai ritmi di lavoro forsennati e dalla mancanza di una figura femminile (la madre si era oramai arresa alle sue insistenze e rifiutava di allattarlo, anche perché, come soleva dirgli spesso: “Manuel, hai 17 anni. Trovati una mucca”), si licenziò e andò a suonare il piano in un bordello. Lì entrò in contatto col sesso femminile, anche se –bisogna ammetterlo- con scarso successo. Posare la mano su una vagina, dovette presto capire Manuel, non è un atto poi così salutare, specie se seguito da una ciclica frattura della mascella. In più, il suo stile pianistico si rivelò essere una malriuscita combinazione tra un golem schizofrenico che picchia uno xilofono e una tempesta in un negozio di vasellami. Decise quindi di ritirarsi momentaneamente a vita privata, ma fece male i suoi calcoli e prese dimora in un cartone al centro del mercato rionale, dove la solitudine è un concetto dalla portata assai limitata. Tra mille difficoltà, riuscì a compilare la sua prima opera, che certa critica definì “acerba”, mentre certa altra (Judas DreissigMunze, in particolare) sostenne che : “Non è un’ opera. E’ una serie di parole in un tedesco da asilo non collegate da congiunzioni né da alcun elemento tassonomico in grado di conferire a nessun insieme di parole in essa contenute, nemmeno casualmente, la definizione di ‘frase’”.
Quest’ ultimo giudizio, alle luci della storia, ci pare oggi estremamente ingiusto e affrettato. Se è vero che “Mit Schlampu Teuerfessel Menge Pumpt: Die verruckt brot” (in italiano, pressappoco: “Con puttanazzo catena costosa concepibilmente pompa: Il pane pazzo”) ha qualche difetto di formulazione, non di meno si può tralasciare la sua importanza nella successiva formazione poetica e saggisitica di Manuel Kant.

(Purtroppo continua. Se volete che Manuel kant faccia qualcosa -come scoprire la convertibilità dei buoni pasto tedeschi in mense militari francesi, o sodomizzare nel sonno un unicorno- non avete che da scriverlo nei commenti).

15 commenti:

lo zio Giorgio ha detto...

Ma so una sega, io...
Sono stato l'unico rimandato della carriera del mio prof di Filosofia. Dando del tutto arbitrariamente per scontato che interessi a qualcuno, ne spiegherò il motivo: la circostanza in cui si sono venuti a trovare il maggior numero di cazzi nella stesso luogo chiuso non è una puntata di drunksexorgy.com (vedi), ma bensì nelle ore di filosofia del professor G. della classe II B del liceo L.A. Essendo il suddetto professore non vedente, si era pensato di poter sfruttare la sua ora di lezione per lo svolgimento di combattutissime gare di erezione mattutina, un po' per spleen e un po' per deliziare quei cessi delle nostre compagne.
Ora, vorrei precisare che io non ho mai partecipato a queste gare, un po' per estrazione catto-moralista, un po' per pietismo post-disneyano, ma soprattutto perchè ce l'ho come la manica di un cappotto ed ero stato bandito da ogni competizione di quel tipo da quei frustrati dei miei compagnucci. Ebbene, forse non tutti sanno che di tutti i portatori di un qualche handicap, i non vedenti sono le più incazzose carogne avide di ripicca e di rivalsa sui normo-dotati. Questo professore, accorgendosi di una qualche vibrazione illecita nello svolgimento della lezione, e forte della convinzione (derivata dai fumetti Marvel) che la natura compensi la mancanza di una capacità sensoriale dotando il soggetto di un qualche infallibile potere sovrannaturale (che cazzata), si ritenne certo di aver individuato il colpevole nel sottoscritto e mi incolpò in maniera del tutto gratuita ed inopinata. Non solo, ma mi usò come suo capro espiatorio per tutto il resto dell'anno scolastico, per poi stiacciarmi con infamia alla fine (allora esisteva il ricupero a settembre).
Da allora ho sviluppato un'allergia di tipo *** alla Filosofia e ai non vedenti, allergia che in più casi il mio medico di famiglia Dott. S. si è trovato a dover certificare.

Unknown ha detto...

Questa è forse la più strana recensione a un mio pezzo che abbia mai letto.

Il sito drunksexorgy.com, in ogni modo, fa si che questo commento si fermi qui.

Anonimo ha detto...

Oooh, un post lungo e corposo finalmente.

Non vedo l'ora di non leggerlo.

Anonimo ha detto...

Ok letto.

Voglio il seguito per domani mattina alle otto.

Credo che sia più o meno come svegliarsi con un pompino.

diamonds ha detto...

i dadi tirati dal destino cinico e baro ad ogni modo hanno fatto si che il buon manuel non avesso il piede caprino come il suo illustre congiunto,e questo può avere influito nell'agiografia onirica che si sta cercando di decostruire in quest'odeion trasfigurato nel MAHABHARATA che andiamo ora ad analizzare(drunksexorgy.com avete detto..faccio bene a leggere prima i commenti

iaia ha detto...

comunque questa era da fagioli senza schiuma. che spreco per quell'ancor troppo immacolato blog.
[so che un qualsiasi mio commento non valga nemmeno un quarto di una qualsiasi scorreggia dello zio giorgio, ma io non m'offendo mica a sentirmi così pressata. sarà l'abitudine.]

iaia ha detto...

ripensandoci, qualsiasi tuo post è da fagioli senza schiuma, any way.

Unknown ha detto...

C'è un discrimine da fare. Questo post non potrebbe MAI stare su fagioli senza schiuma, perché NON è demenziale. E' una parodia alleniana, ha una trama, uno svolgimento, una scelta dei termini, delle figure retoriche ragionate e ben DUE (due) processi di correzione. Che poi sia una demenziale stronzata è altrettanto ovvio. Ma il proposito di fagioli senza schiuma è la demenza fine a sé stessa, senza se e senza ma, priva di orpelli retorici complicati, scritta di getto e disattenta a qualsiasi forma. Indipercui, se voleste pubblicare un post come questo (Manuel Kant) su fagioli senza schiuma, la risposta è NO.

iaia ha detto...

minchia quanto sei pistino, 'a wolà.

f.t. ha detto...

Una piccola e illuminata casa editrice abruzzese, la Cantina Tollo, mi ha da poco commissionato la curatela dell'edizione completa delle poesie di Manuel Kant: 412 testi composti negli ultimi dodici minuti di vita incollando, col proprio muco, zampe di scolopendre sui muri del (lo scoprirete nell'ultima parte del post del suo biografo più avvertito, il Sig. Woland). Ora, nonostante i retrogradi giudizi di valore espressi dalla critica dell'epoca,e in particolare dal Sig. DreissigMunze, deve essere chiaro a tutti come Manuel risulti il più diretto antecedente di tutte le grandi sperimentazioni novecentesche, quelle serie, sostanziali, da Joyce in avanti, e ancora oggi se ne notano occorrenze nei testi del mai abbastanza citato Vasco Rossi, specie quelli composti di sole copule congiunzioni e aposiopesi. un autore fondamentale, alla riscoperta del quale siete tutti invitati. Inizieremo le presentazioni in settembre. A breve le location e le date.

Qui il testo del suo capolavoro, offerto nella mia modesta traduzione:

COPALOVARO, di Manuel Kant

Panda 4X4. e. tutta la questione
del masticare i tarzanelli.
si noncapisce se finisce
prima
caccole del naso o questi zampe e ardesia
della scolopendra

Unknown ha detto...

Non ti offendere, iaia :-)
Curo solo le mie parole.

Unknown ha detto...

(che dialetto è "pistino"?)

iaia ha detto...

sùn piemunteisa.
F.T., questo è fagioli senza schiuma!! nonèccheppercaso il tuo pseudonimo è homopera?
se così non fosse, devi aggregarti!!

iaia ha detto...

ma l'orologio dei tuoi commenti è sincronizzato con quello del bianconiglio o che?

f.t. ha detto...

No Iaia, non ho pseudonimi. Oh, fagioli senza schiuma. chissà. ma: azazello poco combina senza woland, stando alla vulgata.

Hail