Non sono solito dissertare di filosofia per iscritto (sebbene oralmente io sia invece annoverato tra i migliori pronunciatori della parola “sehnsucht” di tutto il condominio), ma questa volta si tratta di un dovere morale, di una ricerca di giustizia storiografica e di una sana misura atta ad ottemperare alle storture di un oscurantismo storico-filosofico che non ha precedenti, se si esclude quello dell’ espunzione volontaria delle teorie sulla contenibilità dei presupposti dell’ essere all’ interno di un oritteropo gay e della loro convertibilità in oro sul mercato olandese, teoria di Blaise Pascal cancellata per sempre dall’ invidia di un allievo calvinista.
Vogliamo qui portare all’ attenzione del lettore una figura che, se la storia ha ritenuto minore, noi, qui e oggi, riportiamo sull’ altare della gloria del sapere: si tratta di Manuel Kant, recentemente riscoperto in un saggio biografico di Otto Neuve, “Dimostrabilità e indimostrabilità simultanea della cosa in sé appena ti viene in mente”, meglio noto nell’ ambiente accademico col sottotitolo “Mille autogiustificazioni per la grassa meretrice che ti dorme a fianco”.
Manuel Kant (1731 – 1806), nono e ultimo figlio dei coniugi Kant, fratello del più famoso e sicuramente più noioso Immanuel, nacque anch’ egli a Konigsberg, vero cognome di Woody Allen. E, non secondariamente, composta e timorata cittadina dell’ attuale Russia oggi sotto il nome di Kaliningrad.
Diversamente da suo fratello Immanuel, Manuel non aveva un cervello particolarmente brillante, né una spiccata attitudine al ragionamento, né una singolare predisposizione alle arti, né un’ abilità di concentrazione sufficiente ad evitargli un collasso nervoso ogni volta che doveva distinguere il sé stesso reale da un qualsiasi riflesso in una pozzanghera, o dallì eventuale papera ivi galleggiante. Né, per un misterioso transfert, riusciva ad allacciarsi correttamente le scarpe senza raccomandare prima l’ anima a dio, e talvolta neanche dopo. Meno metodico del fratello, Manuel da bambino era solito giocare a “schiccheriamoci” con i suoi genitali, balbettando una polka, ma fu presto confinato in riformatorio perché questa attività, in quell’ epoca puritana, non era ancora permessa, e soprattutto non lo era all’ interno di un ufficio postale.
Mentre Immanuel diventava edotto in Latino e Scienze, Manuel diventava edotto riguardo alla vita detentiva. I “nonni” del riformatorio lo avevano accolto con calore. Troppo, forse. Quando Manuel si fu ripreso dalle ustioni, venne rilasciato per un vizio di forma. Il teologo fiammingo Theodosius Von Mastektominzer, nel suo citatissimo “Della gloria di dio e del mio settimo terno sulla ruota di Bari” sospettò che il “vizio di forma” consistesse in un accorato appello della madre che sovente pregava il direttore del riformatorio di rilasciarlo. In effetti, pare che la donna pregasse il direttore tre volte a settimana all' interno suo ufficio, insolitamente chiuso a chiave ed oscurato all’ esterno da tendine nere di percalle. Altri ritengono che il vizio di forma fosse consustanziale al fatto che Manuel Kant era un querulo trapezio (le pene per i trapezi, in quel di kaliningrad, erano state tutte amnistiate perché la parola “trapezio”, nel dialetto locale, significava anche “Cesare Previti”).
Manuel, nell’ entusiasmo per l’ insperato rilascio, si recò dal fratello per proporgli un’ idea che Wolfgang Judenfeuer, nel suo saggio “Retaggio e formazione di un allevamento di pagliacci”, non esita a definire, con una locuzione probabilmente un po’ affrettata, “una sesquipedale stronzata”. L’ idea consisteva nel formare un duo musicale di salsa e merengue. Grazie agli archivi della Fondazione Manuel Kant, alacremente custoditi in una vecchia scatola di wafer alla nocciola ritrovata a fianco di un camino, abbiamo potuto provvedere ad una ricostruzione abbastanza fedele dell’ episodio.
Manuel Kant irrompe nello studiolo dove suo fratello Immanuel sta studiando una polizza assira:
-Imma! Imma! Ho avuto una grande idea.
-Lasciala vagare silente e superflua nell’ aria rarefatta di questa stanza e vattene. Ho da fare. E non chiamarmi Imma. Non sono una balia tettona. Magari lo fossi. Poter disporre a mio piacere di molteplici coppie di seni roboanti. E adesso fuori.
-Dobbiamo assolutamente mettere su un duo musicale di salsa e merengue.
-(--- )
-Ho già il nome. Reggiti forte.
-Un attimo. Lasciami inghiottire questo sasso d’ oppio. Ecco. Vai, procedi. E poi vattene.
-Immanuèl y Manuèl!
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-Carramba!
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-Non è geniale? Eh? Andremo in tour. Italia! Francia! Marocco! Albania! Zambia! Swahili! Serengheti! Zebra!
-Posa il National Geographic e ascoltami. Ora tu vai da papà, gli dici che ti sei invaghito del demonio, tiri fuori il tuo membro, glielo batti sul polso, infili il tuo dito medio nel tuo ano, glielo spingi sulle labbra e poi defechi sulla sua preziosa pipa d’ ebano. Poi torni qui e mettiamo insieme il progetto.
-Grazie fratello, ti adoro! Vado e torno.
-Ti aspetto.
Quando Manuel, un anno dopo, fu di nuovo in grado di camminare, anche se non più di quindici passettini al metro, gli parve evidente che la sua famiglia non lo avrebbe mai capito fino in fondo. In particolare, il sospetto gli venne quando il padre gli disse “Figlio mio, io ti voglio –per così dire- bene, ma è opportuno che tu sappia che non sei che un ridicolo, futile e grottesco futuro fertilizzante per campi di ortiche”. Manuel cercò conforto nella madre. Questa gli sorrise benevola, dopodiché lo colpì sulle reni con una testa di alce per cinque settimane. Un po’ incerto sulle implicazioni dei suoi rapporti familiari, Manuel si recò da un uomo di chiesa, il reverendo Tarcisius Glossolalovic, un ex imprenditore caduto in disgrazia per un banale disguido relativo a una partita difettosa di scimmie da riporto. Alle osservazioni che Manuel gli proponeva, il reverendo era solito rispondere appoggiandogli fraternamente una mano sulla spalla, e meno fraternamente i testicoli sulla coscia. Manuel ne concluse che doveva trovarsi un’ occupazione.
Si dette così alle traduzioni dal tedesco al tedesco, ma il lavoro scarseggiava, anche perché le sue traduzioni risultavano spesso, rispetto agli originali, scritte in una specie di ingarbugliata commistione di yiddish e di un volgarotto gergo da becchino danese alcolizzato. Fu quindi costretto ad accettare un impiego come sedia nella bottega del barbiere Johann Mutterficker, un gran bravo barbiere su cui però pesava l’ ingombrante tara di essere stato fino all’ età di 24 anni un quadrupede.
Afflitto dai ritmi di lavoro forsennati e dalla mancanza di una figura femminile (la madre si era oramai arresa alle sue insistenze e rifiutava di allattarlo, anche perché, come soleva dirgli spesso: “Manuel, hai 17 anni. Trovati una mucca”), si licenziò e andò a suonare il piano in un bordello. Lì entrò in contatto col sesso femminile, anche se –bisogna ammetterlo- con scarso successo. Posare la mano su una vagina, dovette presto capire Manuel, non è un atto poi così salutare, specie se seguito da una ciclica frattura della mascella. In più, il suo stile pianistico si rivelò essere una malriuscita combinazione tra un golem schizofrenico che picchia uno xilofono e una tempesta in un negozio di vasellami. Decise quindi di ritirarsi momentaneamente a vita privata, ma fece male i suoi calcoli e prese dimora in un cartone al centro del mercato rionale, dove la solitudine è un concetto dalla portata assai limitata. Tra mille difficoltà, riuscì a compilare la sua prima opera, che certa critica definì “acerba”, mentre certa altra (Judas DreissigMunze, in particolare) sostenne che : “Non è un’ opera. E’ una serie di parole in un tedesco da asilo non collegate da congiunzioni né da alcun elemento tassonomico in grado di conferire a nessun insieme di parole in essa contenute, nemmeno casualmente, la definizione di ‘frase’”.
Quest’ ultimo giudizio, alle luci della storia, ci pare oggi estremamente ingiusto e affrettato. Se è vero che “Mit Schlampu Teuerfessel Menge Pumpt: Die verruckt brot” (in italiano, pressappoco: “Con puttanazzo catena costosa concepibilmente pompa: Il pane pazzo”) ha qualche difetto di formulazione, non di meno si può tralasciare la sua importanza nella successiva formazione poetica e saggisitica di Manuel Kant.
(Purtroppo continua. Se volete che Manuel kant faccia qualcosa -come scoprire la convertibilità dei buoni pasto tedeschi in mense militari francesi, o sodomizzare nel sonno un unicorno- non avete che da scriverlo nei commenti).