martedì 25 maggio 2010

Scusami se non telefono, ma ho già il mio bel daffare a non contrarre la sifilide

[Non ho smesso. Ero solo lì in fondo a bere]

E' inelegante lasciar morire un blog, lo so. Difatti non era questo il mio intento ultimo. Il mio intento ultimo è sempre il solito. Anzi, sono due:

1)Stabilire un programma minimo dell'umanità (vedi TMF).

Oppure, le volte che proprio non riesco,

2)Riprendermi finalmente il corridoio di Danzica.

Vi accorgerete di cosa abbia preferito occuparmi oggi durante la lettura.

Non dico che i blog siano un'inutile e tronfia protesi spermacchiata dei propri tonitruanti egotismi, né che nella maggior parte dei casi siano un debole ed antiestetico tentativo di riempire il vibrante e incontenibile vuoto di pensieri a cui il pene di un ideale parroco vi ha barbaramente e ingiustamente condannato in quel torrido mattino di un giugno qualsiasi nel retro della sagrestìa, tra rumore di grilli e lacrime inascoltate. Non lo dico, no.

Ma forse mi sto perdendo.

Volevo dire che l'ansia sociale di prestazione, questo rorido fiore d'oppio che dà artificiali erezioni alle più obbrobriose fra le solitudini umane, non può essere -nella maggior parte dei casi- assorbita da un log personalistico dal feedback lento e vagamente inerziale.

CACCA.

Volevo vedere se eravate attenti.

I Social Network come FriendFeed, Facebook e twitter consentono un'interazione più immediata. Il ritorno di fiamma può essere financo immediato. Il blog no. Il blog, a meno che non siate delle attention whores che si arrampicherebbero sul cazzo di un rom che alleva cani da combattimento pur di essere ripresi per due secondi da Valerio Staffelli (85,7% dei blogger secondo gli ultimi rilevamenti ISTAT), è uno strumento un minimo più complesso.
Avrete notato come da un po' di tempo, per ottenere un numero di commenti superiore ai cinque su un blog che non sia maledetto dalla sventura di un numero di visite giornaliere superiore ai dodici miliardi, sia necessario

a)Rivelare che la propria madre è la causa della morte di Alberto Castagna perché il suo pompino con risucchio è talmente leggendario da essere la vera causa del crollo del muro di Berlino. E in questo discorso nominare Woytila.

b)Insultare un blogger superfamoso, citando un sacco di altri blogger, poi rivalutarlo nel mentre, poi insultarlo nel mentre, poi giocarsi una supercazzola clamorosa sul tavolo di una naiveté che sarebbe adorabile se fossimo in un salotto inglese alle soglie del varo del Titanic. Ne vedete un esempio eloquente qui, grazie a Sciuscia, e un feedback qui, di mio amichetto pucci pucci Livefast col quale secondo parte della blogosfera ci facciamo i pompini da soli.
A proposito, blogosfera (ciao come stai): può succedere, quando si ha il cazzo. Ma tu divertiti, che lo so, è dura. E coraggio. Pure 'sta giornata l'avete tramortita.

c)Postare la propria vagina mentre mangia una mela.

d)Rivelare che la propria madre fa dei pompini col risucchio che a voi sembrano ridicoli, dato che col vostro avete stappato l'Islanda e preoccupato l'Europa.

e)Morire di una malattia grave. O stare per. E scriverlo.

La lingua dei blog è intrinsecamente propagandistica, acclamativa, spesso populisitica e stracciona. Le eccezioni si contano sulle dita di un afghano.
Ma è tuttavia una lingua da comporre, spesso avulsa da connessioni richiedenti nozioni suppletive riguardo alla community circondariale. Per semplificare: capire questo post è possibile anche senza essere a conoscenza del fatto che la blogger che trovate cliccando qua sopra su "blog successivo" ha un figlio maschio di nome Ofelia avuto da un viado di Barcellona Pozzo di Gotto con una palla sola.
Invece su altri social network, un evento linguistico come questo "is indeed bound to take place":

"LULZ! :::))) :D La LuIsInA KE è INCINTA che comm. come quella volta al SUGOCAMP l habbiamo bbracciata SOTTO IL FISCHIO"

Ora: il fatto che per reggere l'impatto dell'attribuzione sistemica dei ruoli una pseudosocietà debba strutturarsi intorno a luoghi più o meno comuni e a figure umane tra le più varie e distinte (ad esempio: lo scemo del villaggio, il coglione, l'ignorante, il becero, il neghittoso, il mediocre, il fascista, il semplice, il demente, il sifilitico, il frocio represso, il prete, il prete frocio represso, lo scemo demente sifilitico ignorante becero neghittoso mediocre fascista di un prete frocio represso; o dall'altra parte gente come lo scemo del villaggio, il coglione, l'ignorante, il becero, il neghittoso, il mediocre e così via), rende comunque il tutto un po' triste, umanamente riprovevole e disgustosamente deprimente.

Ecco perché passo lì sopra così tanto tempo.

No.

Volevo che lo sapeste.

[Infatti tanto per non smentirci, i commenti di Friendfeed sono più di questi, guarda un po']

venerdì 7 maggio 2010

Ultimo Maggio

[Pubblicato due giorni fa su Sviluppina]

Si diventa verdi. Un giorno, all’improvviso, in mezzo a seicentomila persone. Verdi. Che sarebbe anche passabile se fosse solo un verde tordo, un verde body painting, un verde cadavere, un verde muffa perineale e financo un verde leghista.

Ma è un verde vergogna ultima.

Succede che si viene colti dalla mambassa errante, gli amici di sempre che amano si affastellano dove si raduna la puzza incarnata e incarnita, amano gozzovigliare e ingozzarsi di alcolici lauti e sprezzati, acidi fino alla catarsi, lubrichi fino al diniego dello status etimologico di “bevanda”. Amano la ressa delle folle, la festa in levare, la cantautoranza di maggioranza, perfino la sudanza che strippa tra madide, ignoranti e perverse lardità fisiche e/o cerebrali di una sterminata bifolcaggine di bisunti. Chilometri e chilometri per assistere alla fine di ogni umanità volente, la fine di ogni significanza anche solo sussurrata, la fine petofona di ogni concetto musicale e -per non farsi mancare niente- la fine patente di ogni sinistra possibile.

Esatto. Vengono al Primo Maggio.
E tu che fai, Woland, che siamo amici, coddìo, non mi accompagni?
Certo.
Ma vieni volentieri?
Duevoglie.
Ma tu il concertone come lo vedi, con chi lo vedi, di solito?
No.

Vado al concertone del Primo Maggio. Guardo la lista degli ospiti. Sorprendente.

Li odio tutti.

Non ce n’è uno che non prenderei a schiaffi con una zebra morta e poi getterei giù da un elicottero legato a un rottweiler con la diarrea fatto di polvere d’angelo.

Si, anche Capossela. Soprattutto: Capossela.

Ne subisco molti. Molti. Non avete idea di quanti ne subisca, prima che. Che.

Prima che una tizia salga sul palco e inizi a violentare una canzone di qualcun altro, bucando lo spaziotempo e spezzando la Resistenza anche solo sognata di ogni partigiano dal tempo presente fino alla piana di Chiasso nel ‘43. E non solo. Perché qualcosa non va. E a metà —> (a metà!) Ella si interrompe, chiede scusa che “NON SI SENTE” (Angelo mio fatti culo a capanna) e RICOMINCIA.

DA. CAPO.

L’imbarazzo, la vergogna e il ridicolo si fondono in una bizzarra Sinfonia in Porcoddio Maggiore per Tristofono e Mignatte. E io?

Verde, appunto. Divento verde ultimo.

E mentre mi chiedo dal profondo di un organo a vostra scelta che cosa possa esistere di più imbarazzante, se farsi soprendere a un funerale con il pene nella bocca della propria madre defunta o essere Sabrina Impacciatore, salpo verso centonove Long Island Ice Tea e verso il mare del Maipiù.