venerdì 30 aprile 2010

BOMBE SULLA CROCE ROSSA

Che se un giorno per caso mi fosse capitato di vederlo, dall'aldiquà dell'evoluzione delle cose, avrei pensato quantomeno che era ora di arredarsi un sommergibile. Che se poi un giorno avessi incontrato anche una fighetta depilata che avesse espresso calore e amore incondizionato per la sua figura tenendo stretta una sciarpa arcobaleno, mi sarei sicuramente premunito cambiando per tempo idea sullo stupro.

Prima ero favorevole.

Comunque si parla di coso. Quello lì che si diverte, che saluta la mamma, che ci ha un sogno eh, un sogno grande come il preimpianto delle staminali per far finalmente crescere l'ormone della proposizione sensata. Quello che ci ha in testa un nugolo di vespe che hanno appena fatto irruzione in uno stabilimento di Alchermes. Questo:


Noam Chomsky, credo

HARVARD. Lo hanno chiamato ad Harvard. Senza neanche avvisarmi di non venire mai a saperlo. L'ANSA titola:

"Harvard applaude Jovanotti l'italiano"

Nel caso aveste sperato che ce ne fosse uno èstone. Invece no, non c'è. Ce l'abbiamo noi. E basta.
Dopodiché scrive:

"Lorenzo Cherubini nei panni di 'professore di diritti umani' ha ricervuto ieri all'università di Harvard un'accoglienza degna di una personalità internazionale"

Gli avevano detto che era Marcos.

"Questo mi far sentire ancora di più un privilegiato, ma dimostra anche che la musica può avere la potenza di una centrale nucleare" ha commentato l'artista".

Ecco perché mi è venuta una terza palla sul collo.

"Nei concerti che sta tenendo in Nordamerica (oggi Boston, poi Toronto, Montreal, Chicago,), Jovanotti canta in italiano. "E non importa se in tanti non lo capiscono, perché poi alla fine il messaggio arriva lo stesso. E' questo ciò che conta". Lui non ha successo in quanto italiano, ma la sua italianità "arriva". "Sì, credo che sia così. E devo ammetterlo: per un italiano, avere successo in America è qualcosa di particolare. Mi riempie di orgoglio. C'é poco da star lì: per un italiano l'America è l'America".

Mentre sono intento a spurgarmi via dall'orecchio il pus che questo paragrafo ha appena iniettato tra la mia corteccia e il mio cranio, vi ricordo che avevo già scritto un paio d'anni fa cosa ne pensavo del musicista Jovanotti, del politico Jovanotti, dell'impegnato Jovanotti.

Evidentemente non ero il solo a pensarlo. C'era anche Satana.

mercoledì 21 aprile 2010

Saturno Contro le Fate Ignoranti Contro Maciste

Trama:
Irene Ravelli è una cinica donna d'affari che ha ereditato dal padre un pacco di marlboro light che invece di farsi fumare ti danno la scossa. Per i suoi affari edilizi ottiene il dissequestro dell'antico anal intruder di famiglia dove un tempo viveva la madre. Irene scopre che una delle stanze, abitate un tempo da Cesara Buonamici, è rimasta intatta come se la donna ci scorreggiasse ancora dentro. L'incontro con una bizzarra bambina di nome Falstaff, le cui grandi labbra sanno suonare a nacchera tutto il Bolero di Ravel, la porterà ad entrare in contatto con una realtà a lei sconosciuta, caratterizzata da una estrema tendenza a pronunciare tutte le lettere dell'alfabeto come se ci si attendesse sempre un'esplosione immediatamente dopo; questo genera in Irene un profondo conflitto interiore che la porta ad un radicale e mistico cambiamento: le cresce un cazzo sul petto. Ed è proprio mentre se lo tocca per tentare di capire dove finisca, che incontra Stefano.
Stefano è un attore italiano, celebre per aver interpretato sé stesso in modi sempre più asmatici, e -dicono- inventore dell'enfisema a fini artistici.
Però c'è 'sto problema che a Stefano ci piace il cazzo.
Oh.
Lei ci prova.
Ma niente.

Ci piace. Solo. Il cazzo.

Allora Irene prova ripetutamente a saltargli con la vagina sulla testa. Purtroppo la testa di Stefano è resa pleonastica dal fatto che egli sia un famoso attore italiano; Stefano reagisce male, corre dal suo ragazzo, Zdenek, e si fa ammollare il culo qual carne frolla da cinereo maglio a motore. Lei si risente molto di questo, mentre il regista di quest'obbrobrio si masturba da dietro il monitor di regia.

Oh.
Scusate.

Irene è disperata. Chiama l'ex-marito, un uomo buono, comprensivo e altruista, ma affetto dalla bizzarra mania di farsi leccar via la ketamina dai testicoli da bambini eritrei. Il marito prova a consigliarla, ma lei è inconsolabile, o almeno così parrebbe se la scena non fosse un volgare tentativo del regista di avere più minutaggio del bambino eritreo mentre

Scusate.

A questo punto più o meno tutte le storie si reintrecciano. Entra in scena Maciste, un settantenne ancora garrulo, che ha tempo per il sesso nonostante dorma tre ore a notte e che ha combattuto più o meno contro tutti, con discreto profitto, soprattutto negli anni '60, ma anche adesso non scherza.

Maciste: "Grou!"

Irene:
"La vita è come un foglio disteso sulla mia pelle. Mi sento tramite il mio ignorarmi. Mi percepisco tramite le mie assenze. Mi dilungo tramite i miei ossimori. Ahimé. Tutti i miei demoni si sono ripresentati qui, nella mia vita di oggi, depauperata del"

Maciste:
"Te lo spezzo nel culo".

Irene:
"Intendevo esattamente questo".

Fine.
Ah, no.
C'è un'ultima scena in cui c'è pieno di orecchioni che si inculano.
Poi c'è un incapace, bolso, sciatto, retorico, vuoto, maldestro e vigliacco regista e autore di pura e sempiterna merda che si fa una sega adoperando per guanto un rullo di banconote di finanziamento statale.

Ecco, è questa la fine.

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domenica 4 aprile 2010

(E' tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci)

[Corsivi e grassetti e a cura del sottoscritto, ndW]

"Ora, siete proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7?"

[...]"Come si fa a istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè. Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo.
Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa, ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime.
Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).


Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private."[...]

Discorso pronunciato da Piero Calamandrei al III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale (ADSN), Roma 11 febbraio 1950 - Il discorso completo.